Le canzoni del 1961

Gino Paoli è in stato di grazia e sempre in particolare sintonia con il mondo femminile: mentre “Il cielo in una stanza” rimane legato all’interpretazione di Mina, in “Senza fine” la partner è Ornella Vanoni (per un po’ lo sarà anche nella vita). Tra gli autori emerge Giorgio Gaber, che sta iniziando la sua originalissima parabola artistica. Ne “La ballata del Cerutti” comincia a delinearsi la sua vena di cantastorie. “Da-da-um-pa” è invece un omaggio alla grande stagione del varietà televisivo, che per tanti anni ancora terrà incollate davanti al video generazioni di italiani.
Se l’arte si misura anche dalla capacità di un’opera di rimanere nel tempo, allora dobbiamo considerare sia “What a wonderful world” che “Moon river” dei capolavori d’arte, al di fuori di qualunque contesto cronologico e stilistico. Per l’immortalità di “Stand by me” darà invece il suo contributo John Lennon qualche anno dopo. E se “Hit the road Jack” porta il rhythm & blues ai suoi massimi livelli, e “Runaway” fa virare il genere secondo lo stile anni Sessanta, “Let’s twist again” dà ufficialmente il via all’epoca del twist, derivazione del rock’n’roll finalizzata al ballo, come ci ricorderà Edoardo Vianello in “Guarda come dondolo”. Sul fronte jazz c’è un’altra perla di John Coltrane, che interpreta a modo suo un motivetto dalla colonna sonora di “Tutti insieme appassionatamente”, evidenziando come il jazz sia non soltanto un nuovo linguaggio musicale ma anche un nuovo modo di vedere le cose. Un modo che in una parola definirei “introspettivo”.


Senza fine – Gino Paoli recensione

Legata a un granello di sabbia – Nico Fidenco

La ballata del Cerutti – Giorgio Gaber

Da-da-um-pa – Gemelle Kessler


Hit the road Jack – Ray Charles recensione

Let’s twist again – Chubby Checker

What a wonderful world – Sam Cooke recensione

Moon river – Perry Como recensione

Stand by me – Ben E. King

Non je ne regrette rien – Edith Piaf

Surrender (Torna a Surriento) – Elvis Presley

Runaway – Del Shannon

Hello Mary Lou – Ricky Nelson

My favorite things – John Coltrane recensione

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