L’uomo che si gioca il cielo a dadi

Roberto Vecchioni, 1973
dall’album L’uomo che si gioca il cielo a dadi

di Paolo Pugni

Conobbi Roberto Vecchioni al mio liceo. Insegnava italiano, latino, greco, storia e geografica in una classe del ginnasio. Ogni fine settimana organizzava dei giochi culturali per i suoi alunni e premiava i vincitori con LP della sua casa discografica. Durante un picchetto giocammo a pallone nei giardinetti davanti al liceo Beccaria. Lui stava in porta. Gli segnai anche un gol.

Amo molto le sue canzoni e le sue storie, e sono decine i titoli che vorrei raccontare qui. Ad ognuno di loro posso associare un ricordo della mia adolescenza.

Quella che ho scelto, e che fu presentata al Festival di Sanremo del 1973, non è tra le più note e appartiene al primo periodo del professore cantante.

Mi colpisce sempre la delicatezza con la quale Vecchioni racconta il rapporto con suo padre. Il contrasto tra i due uomini non potrebbe essere più forte eppure è proprio questo che li avvicina

Io vado a letto adesso / E tu sei in piedi dalle sei

uno vive una vita fatta di avventure sciape e senza senso se non la ribellione, l’altro chiude l’esistenza in modo pacato dopo una gioventù altrettanto ribelle

Ti sei giocato donne / Che impazzivano per te / Eppure un giorno hai pianto in un caffè

Una vecchiaia piena di affetto e rispetto per il figlio che cerca di salvare dalla disperazione, con la dignità del silenzio

Ti leggo dentro agli occhi / “Figlio mio come ti va?”

E questo quieto invito ad una pace pacata e lieve arriva a destinazione e fa esclamare al cantante il ritornello che tante volte ho cantato anche io, dopo che mio padre ci ha lasciati, non come gesto di ribellione, ma desiderio di trascorrere del tempo con lui, capace sempre di calmarmi, di aiutarmi a ritrovare il senso, il filo, la pace

Papà, lasciamo tutti e andiamo via / Papà, lasciamo tutto e andiamo via

È una canzone d’amore: sì, di amore filiale. Del resto l’amore verso i suoi genitori Vecchioni l’ha cantata tante volte, ad esempio con la bellissima Ninni (in Calabuig).

Mi commuove questo figlio che cerca la felicità eterna per il padre, grande giocatore (lo scopriamo in Per un vecchio bambino, canzone del 1977 che ricorda la sua morte

E una domenica i cavalli, le carte, le scommesse, i sogni, vennero a dirmi: / “Lo lasciamo: adesso è grande, adesso sai non ha bisogno più di noi” 

e così amato, ammirato, richiesto. E la strofa finale non solo suona come preghiera, ma come atto d’amore per il padre naturale e il Padre celeste.

E quando verrà l’ora / Di partire, vecchio mio / Scommetto che ti giochi / Il cielo a dadi anche con Dio / E accetterà lo giuro / Perché in cielo, dove sta / Se non ti rassomiglia che ci fa?

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.