Poor Edward

Tom Waits, 2002
dall’album Alice


Pochi artisti potevano rendere attraente una storia come quella di Edward Mordake. C’è riuscito Tom Waits con un approccio rude e delicato al tempo stesso, e con uno sguardo sghembo, tipico di chi guarda le persone e il mondo attraverso una bottiglia. Di whisky.

Chissà poi se è veramente esistito questo “poor Edward”, tipico personaggio (o figura letteraria?) dell’epoca vittoriana, quando la scienza incrociava il romanticismo e ne uscivano “eccezioni antropologiche”, persone strane che contraddicevano la normalità dell’essere umano con malformazioni fisiche e/o squilibri mentali. Mostri da presentare al pubblico per stimolarne la curiosità morbosa e la reazione emotiva.

Il dramma di Edward Mordake consisteva nell’avere due volti, uno davanti e uno sulla nuca. Il volto posteriore, per quanto impossibilitato a mangiare o a parlare, però poteva ridere, piangere e fare smorfie. Inutile dire che la cosa ebbe un effetto devastante sulla psiche di Edward, che dopo aver tentato inutilmente la strada della chirurgia si suicidò, ad appena 23 anni.

Tom Waits ci dice che Poor Edward si impiccò ma che non riuscì a liberarsi da quella presenza maligna, che lo trascinò all’inferno.

La sua voce, già di per sé cavernosa, scende ancora più in basso per scavarci dentro e farci ancora più male, con l’accompagnamento di un pianoforte e di strumenti a fiato.

L’intera vicenda è una drammatica metafora della coesistenza del bene e del male all’interno dell’uomo, vista da una prospettiva cupa, poetica, alcolica.

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