Le canzoni del 2017

Non manca niente, in questa selezione di canzoni scelte per ricordare l’anno 2017. E calo subito l’asso, con la musica coinvolgente dei National: l’album “Sleep well beast”, dal quale traggo “The System only dreams in total darkness”, li consacra al vertice della musica contemporanea.

Anche gli Elbow confermano i loro standard, avvalendosi della creatività negli arrangiamenti e del carisma del cantante Guy Garver. Brani come “Gentle store” sono un manifesto dell’attuale pop britannico, che nel frattempo come in altri paesi (l’Italia, tanto per dirne uno) subisce gli influssi dei talent-show, croce e delizia del decennio in corso. Harry Stiles è emerso dall’X-Factor inglese e “Sign of the times” è un esercizio di stile legato alla tradizione melodica e fa pensare a qualche ballata del passato.

Chi vive bene nel presente è Ed Sheeran, e “Shape of you” è forse il brano dell’anno, se scegliamo il punto di vista delle classifiche e dei pubblici riconoscimenti (il brano è valso il Grammy Award al cantante britannico). Il tempo sembra che si sia fermato nella lunga ballata “Strangest things” con la quale il gruppo The War on drugs ci accompagna in un viaggio dalla meta indefinita, in un territorio senza confini.

Ritroviamo punti di riferimento nell’elegante “Show you the way” di Thundercat, che a tratti sembra Stevie Wonder e in generale ricorda la black-soul music degli anni Ottanta, con le tastiere vellutate che sembrano carezze.

Rimaniamo nelle tonalità black con Jay-Z e la sua cadenzata “The story of O.J”, ennesima denuncia dello status di “nigger” negli Stati Uniti, dove l’unica strada per uscire dalla discriminazione razziale sarebbero i soldi, come insegna la storia di O. J. Simpson.

Se Jay-Z interpreta al meglio il genere hip-hop, il sassofonista Kamasi Washington irrompe nel jazz con una (rivoluzionaria?) solarità, e “Truth” più che un brano è un’esperienza da vivere, un flusso di emozioni sorprendenti nel solco della tradizionale costruzione jazz.

Altro artista molto bravo nel creare atmosfere intime e relazionali è Benjamin Clementine, che con “Jupiter” prosegue la sua maturazione artistica. Prima o poi ne dovevamo parlare: nell’epoca dell’esplosione delle serie tv, che ormai invadono la quotidianità nel mondo occidentale, anche in ambito musicale ci sono logiche ripercussioni, grazie a prodotti di qualità elevata.

È il caso di “Babylon Berlin”, gioiello cinematografico di produzione tedesca che ricostruisce il clima della capitale Berlino durante la Repubblica di Weimar. “Zu asche, zu staub” (“Nella cenere, nella polvere”) è la sigla cantata dalla lituana Severija Janušauskaité che rappresenta in pieno il mistero e il fascino ambiguo di un’epoca drammatica, che prepara il Dramma del XX secolo.

In Italia è un anno da ricordare per la qualità musicale: e se i gruppi Thegiornalisti e Baustelle proseguono il loro percorso sulla linea (rispettivamente) del pop divulgativo e dell’ambizione intellettuale, Dario Brunori ci lascia con “Canzone contro la paura” uno dei brani simbolo di questo inizio secolo, che riflette sul ruolo della musica, anzi della canzone, nella nostra vita.

Altro cantautore di origini meridionali è Pippo Pollina, che con “E laggiù le lampare” duetta con la norvegese Rebekka Bakken in un suggestivo incontro tra mari così lontani, e sorprendentemente così vicini. La ciliegina sulla torta è nelle grandi doti canore di Chiara Civello, autrice di un grande album, dal quale è tratto “Cuore in tasca”.


Canzone contro la paura – Brunori sas recensione

Riccione – Thegiornalisti

E laggiù le lampare – Pippo Pollina recensione

Amanda Lear – Baustelle

Cuore in tasca – Chiara Civello


Shape of you – Ed Sheeran recensione

Gentle storm – Elbow

The System only dreams in total darkness – The National recensione

Strangest things – The War on drugs

Sign of the times – Harry Styles

The story of O.J. – Jay-Z recensione

Jupiter – Benjamin Clementine

Zu asche, zu staub – Severija Janušauskaité recensione

Truth – Kamasi Washington recensione

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