Le canzoni del 2012

Scorrendo la lista delle migliori canzoni dell’anno 2012 viene voglia di farsi una domanda un po’ crudele: quanti di questi brani potrebbero figurare in una qualunque annata dei decenni dal ’60 all’80? Non so se è l’effetto nostalgia che fa idealizzare il passato, ma la risposta è “zero” e riflette la sensazione di vivere in un periodo di flessione della qualità e della creatività musicale, con produzioni che difficilmente riescono a scaldare il cuore, a stupire, a intrigare.

Tant’è che alcuni campioni del passato continuano a reinterpretare se stessi e a spiccare sulle cosiddette novità: David Byrne fu campione degli anni Ottanta (ma con i Talking Heads cominciò un po’ prima) e adesso riesce ancora ad essere originale in coppia con St Vincent in “Who”; negli anni Settanta apparve la stella di Bruce Springsteen per raccontare con passione storie dell’America profonda, ed eccolo a trascinare le folle con “Rocky Ground” con alcune infiltrazioni etniche e rap nel suo rock potente; ancora più vecchie sono le radici di Neil Young, che iniziò a calcare le scene negli anni Sessanta e dopo mezzo secolo incanta ancora con una delle sue celebri ballate (“Ramada Inn”) che ha l’ampiezza mozzafiato di un lungo viaggio verso l’orizzonte, e infatti sembra non finire mai.

Anche i giovani sembrano ispirarsi al passato, e Jack White con “Sixteen Saltines” riprende il rock urlato in falsetto degli anni Settanta, mentre i Mumford & Sons ripercorrono il filone country-rock con un piglio che ben si adatta all’impatto con la folla di una grande arena (“I will wait”).

Il resto sono produzioni eleganti: c’è un ibrido tra il cantante rap e il crooner, che risponde al nome di Frank Ocean, e la fascinosa Lana Del Rey dalla voce profonda: “Born to die” è da ascoltare sul divano di qualche locale con luci soffuse. Altra voce affascinante è quella di Victoria Legrand, che con i Beach House richiama alla memoria i Cocteau Twins degli anni Ottanta.

Interessanti esordi sono quelli dei Lumineers, con le curiose cadenze di “Ho Hey” che avanzano a colpi di frusta, e degli inglesi Alt J (la combinazione di tasti per ottenere sul computer la lettera greca Delta) che costruiscono in “Tessellate” un soul scarnificato, in tonalità bianche e nere.

Anche in Italia vanno per la maggiore le interpreti femminili, con l’elegante Nina Zilli, l’emergente Malika Ayane e la brillante Giorgia, che “ci porta su” con la canzone italiana dell’anno. Andrea Nardinocchi e Colapesce coinvolgono con un linguaggio confidenziale che richiede un ascolto attento.

Tutto interessante, ma anche nel repertorio italiano abbiamo vissuto annate migliori.


Tu mi porti su – Giorgia

Tre cose – Malika Ayane

Un posto per me – Andrea Nardinocchi

Satellite – Colapesce con Meg

Per sempre – Nina Zilli


I will wait – Mumford & Sons recensione

Tessellate – Alt-J

Thinking ‘bout you – Frank Ocean

Myth – Beach House

Who – David Byrne & St Vincent

Born to die – Lana Del Rey

Ho Hey – The Lumineers recensione

Rocky Ground – Bruce Springsteen

Sixteen Saltines – Jack White

Ramada Inn – Neil Young and Crazy Horse

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