Le canzoni del 1989

Il decennio si conclude nell’insegna dell’eleganza, di una produzione musicale matura, che ha ormai alle spalle una tradizione con le successive rielaborazioni, perfezionamenti e riproposizioni.

Gli anni Ottanta non hanno portato idee rivoluzionarie ma molto maquillage di qualità: innanzitutto viene sdoganata la musica folk, a partire da quella celtica (quest’anno abbiamo “Belfast Child” interpretata dagli scozzesi Simple Minds) per arrivare all’immenso panorama mondiale dei cinque continenti.

Poi c’è la rarefazione dei suoni, sotto l’impulso di talentuosi ingegneri del suono (Brian Eno su tutti), dell’ideologia new age e della domanda di “novità” che viene dal mercato.

Semplificando un po’, se l’evoluzione musicale degli anni Cinquanta e Sessanta nacque dalle spinte dal basso, come espressione culturale di inquietudini giovanili, negli anni Ottanta la scena cambia sotto gli impulsi dall’alto, determinati dall’industria discografica e dall’uso delle tecnologie.

Il fuoco del rock riappare quest’anno nella ritmica incalzante di “Personal Jesus” (con i Depeche Mode che prendono di mira le ideologie) e nella batteria che guida “I am the Resurrection” degli Stone Roses in una cavalcata che sembra rinverdire le sonorità di qualche decennio prima.

Lou Reed non ha bisogno di attingere a modelli altrui, perché lui è già parte integrante di quel patrimonio, e “Romeo had Juliette” appare quindi come la prosecuzione di un discorso personale che si concluderà soltanto con la morte del rocker newyorkese (2013).

L’eleganza formale e la rarefazione dei suoni di cui parlavamo sono le coordinate della musica dei Blue Nile, che quest’anno danno il meglio con brani come “Let’s go out tonight”, ma lo stesso effetto-charme è presente nel pop dei Tears for Fears (“Sowing the seeds of love”) e di Phil Collins (“Another day in Paradise”).

Anche l’estetica cupa del dark raggiunge il suo zenit con i suoi interpreti migliori – i Cure – che lasciano alla storia una ballata struggente (“Pictures of you”) dove viene sublimato il dolore d’amore.

Meritano una citazione anche “Back on the block” l’opera magna di Quincy Jones che mette insieme jazz, soul e funk sotto l’insegna della classe e dell’eleganza (parola ricorrente quest’anno, come dicevamo), e anche l’irruzione nella scena musicale dell’effetto-champagne: dalla Francia arrivano Les Negresses Vertes (nel gergo francese il termine significa “bottiglie di vino”) a portare una carica di entusiasmo e di simpatica follia. Anche loro propongono un prodotto di sintesi, che mescola chanson française, ritmi latini, rock e musica tzigana.

Anche la musica partecipa al processo di mondializzazione, e l’arte compositiva si manifesta nella capacità di sintetizzare tradizioni e stili diversi. Uno che da noi ha queste capacità è Zucchero, che dopo molti anni di gavetta raccoglie con gli interessi il frutto della sua ricerca nel campo del blues. Quest’anno è lui il re delle classifiche in Italia.


Diavolo in me – Zucchero

Overdose (d’amore) – Zucchero

Anna verrà – Pino Daniele 

Viva la mamma – Edoardo Bennato

Tex – Litfiba 


Sowing the seeds of love – Tears for Fears

Pictures of you – Cure recensione

Personal Jesus – Depeche Mode  recensione

Romeo had Juliette – Lou Reed 

I am the resurrection – The Stone Roses 

Back on the block – Quincy Jones 

Voila l’etè – Les Negresses Vertes recensione

Let’s go out tonight – Blue Nile recensione

Another day in Paradise – Phil Collins 

Belfast Child – Simple Minds 

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.