Light my fire

Doors 1967
dall’album The Doors


Il suono di una tastiera classicheggiante introduce uno dei brani più rappresentativi di un’epoca. Le parole chiave per definire quel mondo anni Sessanta sono: libertà assoluta, assenza di vincoli, passionalità.

Quello dei Doors è stato definito “psychedelic rock”; il punto di partenza è il blues ma l’approdo è altrove, in uno spazio indefinito e tutto sommato irraggiungibile.

Perché ciò che realmente conta è il fatto di mettersi in moto in un trip esperienziale, dilatato dal suono della tastiera di Ray Manzarek e dagli impulsi emotivi lanciati da Jim Morrison, cantante sciamano.

Tra i credits del brano merita un posto importante il chitarrista Robbie Krieger, autore del brano. Non credo che una versione di “Light my fire” sia uguale ad un’altra, proprio perché ogni volta l’ispirazione del trip produceva modalità e tempi diversi.

Soltanto per la radio venne realizzata una versione inferiore ai 3 minuti; dal vivo si andava secondo le suggestioni e le improvvisazioni del momento, un po’ come accadeva nel jazz, e la durata si dilatava a dismisura.

Queste esecuzioni estemporanee riflettono le fiamme del fuoco che Jim Morrison va ad appiccare di volta in volta. Il fuoco della passione che assume ampiezza diversa a seconda del momento e che va a rischiarare il buio della notte. Anzi, quel fuoco cerca addirittura di sconfiggere quelle tenebre (“Try to set the night on fire”) in un sogno romantico ed utopistico.

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