Sulle dieci canzoni scelte per rappresentare il 1988 cinque sono irlandesi. Non è soltanto una questione di gusto, c’è un fenomeno culturale che va raccontato.
Le origini celtiche, localizzate per lo più in Irlanda e Scozia e quindi in un territorio insulare, farebbero pensare a uno stile uniforme, ma ciò che colpisce in questi brani è la varietà e lo spirito di apertura oltre ogni confine.
La radice folk si declina in almeno tre filoni: quello energico dei Pogues, miglior gruppo da pub di sempre che interpreta la tradizione con un approccio punk; c’è poi il filone letterario, laddove i Waterboys mettono in musica le parole di un poema di Yeats nell’incanto lirico di “The stolen child”; con Enya le linee melodiche folk appaiono disincarnate e interpretano la contemplazione della natura secondo le linee di una “estetica dell’atmosfera musicale”. Non stupisce che la musica di Enya sia stata inserita nei cataloghi new age, stile in auge proprio in quegli anni Ottanta.
Sempre dall’Irlanda c’è la meteora degli Hothouse Flowers, che propongono un passionale mix tra folk, rock e soul, mentre l’astro degli U2, arrivato al punto più alto della sua parabola, intraprende un percorso all’indietro, alla ricerca delle proprie radici musicali. Non quelle folk, però, bensì quelle rock, e il terreno non può che essere quello della sconfinata America. “Desire” è una dichiarazione d’amore al rock di un gruppo che rappresenta l’Irlanda degli emigranti, dei mediatori culturali, degli evangelizzatori.
Sempre negli Usa, il rock torna a brillare grazie alle vibrazioni delle chitarre dei R.E.M. che con “Orange crush” diffondono adrenalina di prima qualità.
Nel panorama frastagliato di questi anni spiccano il talento di Tracy Chapman, che vive il suo momento di gloria con la dolce ballata “Fast car”, e la voce da crooner danzante di George Michael, ormai lanciato in una carriera solista.
Infine, nella selva di stili diversi tipici di quest’epoca, sorge un brano senza tempo, che su cadenze reggae lancia al mondo un messaggio rassicurante: “Don’t worry, be happy”, attinto dalla sapienza orientale (indiana per la precisione) del pensatore Meher Baba. Non è Bob Marley a lanciare lo slogan sapienziale, bensì Bobby McFerrin, che proviene dal jazz. Curioso come questo personaggio abbia mietuto proseliti nell’ambiente musicale, tant’è che gli Who gli dedicarono il celebre brano “Baba O’Riley”.
Anche l’Italia si distingue per la varietà delle proposte, perché si va dalla poesia di Battiato con “E ti vengo a cercare” alla goliardia della combriccola di “Indietro tutta” (fenomeno televisivo dell’anno con la sua sigla “Sì la vita è tutto è un quiz”), passando dal rock dei Litfiba e dal romanticismo alla vaccinara di Antonello Venditti.
E ti vengo a cercare – Franco Battiato recensione
Ricordati di me – Antonello Venditti recensione
Louisiana – Litfiba
Sì la vita è tutto è un quiz – Renzo Arbore
Don’t worry, be happy – Bobby McFerrin recensione
Faith – George Michael
Fast car – Tracy Chapman recensione
Don’t believe the hype – Public Enemy recensione
Orange crush – R.E.M. recensione
Hallelujah Jordan – Hothouse Flowers recensione
If I should fall from Grace with God – The Pogues recensione
On your shore – Enya recensione
Desire – U2
The stolen child – The Waterboys recensione