Le canzoni del 2016

La maggior parte degli artisti, anche tra i migliori, sono protagonisti in una stagione, legandosi a un genere, a uno stile, a una moda. Alcuni riescono a conservare questa loro identità musicale nel tempo, pochissimi percorrono con successo la strada del rinnovamento.

David Bowie è il principe del trasformismo, essendo passato brillantemente dal rock al glam-rock, dalla musica sperimentale alla new wave. Adesso interpreta l’ultima stagione della sua vita, e avviandosi alla morte assume toni cupi, particolarmente intensi. “Lazarus” si conclude con con un omaggio alla passione della sua vita – la libertà – che è pronto ad abbracciare definitivamente («Proprio come quell’uccellino azzurro / Oh, sarò libero / Non è tipico di me?»).

Una certa sintonia con questo brano la si trova in “Jesus alone”, totalmente inaccessibile ad un ascolto distratto e superficiale. Come sempre, Nick Cave va a scandagliare i sentieri del dolore, dai quali fa sorgere una accorata richiesta di aiuto («con la mia voce / ti sto chiamando»).

Anche i Radiohead conducono da anni una personale ricerca nelle profondità dell’animo umano, con risultati per lo più vani, dai toni nichilisti. “True love waits” non apre alcun spiraglio di speranza e l’atmosfera trasmette pensieri claustrofobici. Ma anche la disperazione può essere artistica.

Per respirare un po’ d’aria fresca, la musica di quest’anno ci invita ad andare in… Giappone. Il gruppo ゲスの極み乙女。(o se preferite i Gesu no Kiwami Otome) sono una piacevole scoperta, che rompe pregiudizi sulla musica orientale e sa conciliare ritmi frenetici con l’eleganza e l’abilità tecnica (menzione speciale per il bassista paffuto).

Sonorità inedite arrivano da Cavern of Anti-Matter, che sono inglesi ma evocano gli storici gruppi tedeschi anni Settanta (Kraftwerk, Tangerine Dream) per le lunghe cavalcate musicali basate su tastiere e ritmica.

“Cold little heart” va ascoltata perché rappresenta una nuova frontiera dell’evoluzione del soul. Michael Kiwanuka, di origini ugandesi, sfodera la sua chitarra per disegnare un suggestivo percorso nel “piccolo cuore freddo” che produce calore. Il calore di un soul meno festaiolo e più intimo.

Nell’avvicinamento alla musica pop mainstream incontriamo il rock sincopato dei Red Hot Chili Peppers, che molto deve al suono del basso (come si sente in “Dark necessities”), e lo chansonnier Ray LaMontagne, che con “Hey no pressure” dilata il suo racconto affidandosi ad un giro armonico di chitarra.

Ed eccoci finalmente ai brani-classifica che invitano al ballo e al disimpegno. Justin Timberlake e Bruno Mars mostrano il lato migliore della musica commerciale grazie alle loro abilità come interpreti; “Can’t stop the feeling” e “24k Magic” rimangono prodotti di qualità.

In Italia a rappresentare questa “musica per tutti” ci sono Thegiornalisti con “Completamente”, canzone dagli ingredienti sicuri: tastiere anni Settanta, melodia e ritmo dance.

Chi si spinge decisamente verso il dance è Cosmo con “L’ultima festa”, mentre l’esordiente Motta pone la sua candidatura per il club esclusivo dei cantautori, una delle glorie della musica italiana.

Ne fa parte con merito Niccolò Fabi e “Una somma di piccole cose” è una perla da assaporare, più legata alle sonorità della musica internazionale d’autore che a quella della nostra tradizione.

Dove invece è immersa totalmente “Zompa la rondinella”, capolavoro vintage di Vinicio Capossela che ci riporta agli stornelli di paese, fatti apposta per aggregare e costruire un’identità.


Una somma di piccole cose – Niccolò Fabi recensione

Completamente – Thegiornalisti

L’ultima festa – Cosmo

La fine dei vent’anni – Motta

Zompa la rondinella – Vinicio Capossela


Lazarus – David Bowie

Hey no pressure – Ray LaMontagne

Jesus alone – Nick Cave & the Bad Seeds

Dark necessities – Red Hot Chili Peppers

True love waits – Radiohead recensione

Ryouseibai de ii ja nai – Gesu no Kiwami Otome recensione

Melody in high feedback tones – Cavern of Anti-Matter

24k Magic – Bruno Mars

Can’t stop the feeling – Justin Timberlake

Cold little heart – Michael Kiwanuka

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