Wild horses

The Rolling Stones, 1971
dall’album Sticky fingers
La più grande band di rock’n’roll. Sì, certo. Ma le pietre ogni tanto smettono di rotolare e giunge il momento della riflessione, dell’intimità, nella forma di una ballata.

Ci sono i legami affettivi che danno un senso al rotolare della vita e che sono messi in pericolo dalle pressioni esterne: c’è chi dice che la canzone sia ispirata al tormento di Keith Richards di dover lasciare la moglie e il figlioletto per i vari tour della band; altri sostengono che l’input creativo nasca dalle disavventure di Marianne Faithfull, fiamma di Mick Jagger, che quasi ci rimise le penne per un’overdose.

“Ma i cavalli selvaggi non potranno trascinarmi via” è una straordinaria frase d’amore, con l’espressività tipica di un rocker, piantata lì proprio in un ritornello che squaglia, creando un’inevitabile empatia.

Perché le canzoni hanno questa misteriosa capacità: di partire dall’interiorità di un autore e di trasferirsi nei cuori di altre persone che in quei suoni e in quelle parole ritrovano se stessi.

E così ciascuno, di fronte ai propri démoni, potrà unirsi al cuore e cantare “Wild horses couldn’t drag me away”, o come si diceva una volta: “non praevalebunt”.

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