Ornella Vanoni, 1996
dall’album Sheherazade
Un inno all’amore umano, commovente come pochi.
Sarà per l’orchestrazione classica, o per la voce malinconica della Vanoni (una malinconia che non ha niente a che vedere con la tristezza), ma questa canzone mi fa pensare all’amore maturo, quello ormai arrivato in doppia cifra, che ne ha viste passare tante ma di quelle tante si è arricchito, e adesso scorre placido come un fiume in piena.
Un amore di cui ringraziare, ché più di ogni altra cosa al mondo ci avvicina all’eternità, cioè al desiderio più intimo e profondo.
È soltanto una canzone, certo. Ma una canzone nel suo piccolo può sprigionare una forza imprevedibile, e attraverso il canale emozionale arrivare al centro dell’anima.
Sopra queste note vedrei bene scorrere le immagini di una vita intera, di una coppia che è riuscita sempre a non guarire mai dalla “dolce malattia, ch’è volersi bene”.