(14 settembre)
Nick Cave, 1990
dall’album The good son
Di inni alla croce di Gesù ce ne sono tanti, ma questo è il più sorprendente, senz’altro extra-liturgico ma non meno coinvolgente.
Lo ha composto un uomo che viene da lontano, dagli antipodi direi, dopo una vita di eccessi a tutto tondo, perso nelle tenebre degli abissi, laddove – per una misteriosa legge dei contrasti – l’immagine della Croce può risultare particolarmente attraente.
Perché soltanto chi si è perso totalmente può apprezzare al massimo l’idea di salvezza, così come un moribondo desidera la vita come nessun altro.
Cave è in Brasile dopo essere uscito dalla tossicodipendenza, e intona in lingua locale questa lenta ballata, che ha il sapore di una processione che spinge al raccoglimento, anche perché l’autore è in vena di confidenze: dopo essere sfuggito all’amore che bussava alla sua porta, «i miei peccati sono stati espiati da Gesù».